4. Gesù Cristo ha sofferto ed è morto per far riparazione dei peccati di tutto il mondo: come dobbiamo intendere precisamente tutto questo? Chi è immerso in una costante situazione di peccato non è solamente in uno stato di colpa, ma ha attirato su di sé anche un castigo: riguardo al peccato, bisogna quindi distinguere tra colpa e punizione. Ambedue sono un male, che opprime il peccatore e lo separa da Dio: l’uomo, oppresso dalla sua colpa e meritevole di punizione, assume un atteggiamento di lontananza e di estraneità al cospetto di Dio offeso, poiché l’ira di Dio lo sovrasta. Se questi mali –colpa e castigo – devono essere tolti agli uomini, è necessario che il peccato sia completamente estinto e che poi, in primo luogo, venga offerta un’adeguata espiazione alla Giustizia divina. In che cosa consiste ora questa espiazione per la colpa e il castigo e in quale misura fu soddisfatta da Cristo, tramite il Suo sacrificio di sofferenza e morte sulla Croce?
a) Peccando, l’uomo offende Dio, cioè ferisce i diritti di Dio. RifiutandoGli la dovuta riverenza e sottomissione, egli compie un’ingiustizia, disonora l’altissima maestà di Dio e disprezza la Sua infinita bontà. Per questo egli cade in uno stato di colpa e diventa oggetto di dispiacere e indignazione: “un nemico di Dio” (Rm 5, 10). Come può essere espiata questa colpa – conseguenza della negazione del timore reverenziale, della stima più alta e dell’amore dovuti a Dio – e come può essere cancellato il Suo dispiacere? A questo fine è necessario un atto volontario, un’opera o una sofferenza che onori la divina Maestà più di quanto Essa sia stata disonorata con il peccato e che sia gradita alla Maestà offesa di Dio in misura uguale o anche maggiore di quanto Essa sia stata amareggiata dal peccato.
Perciò la riparazione ci riconcilia di nuovo con Dio offeso e fa sì che Egli non sia più adirato, ma disposto a rimettere la colpa. A questo fine serve un atto di omaggio o di riparazione, per il quale una buona opera sia tanto più adatta quanto più essa sia appropriata a venerare e glorificare Dio. Perciò è comprensibile che il sacrificio sia la forma migliore e la più nobile per venerare Dio. Da quanto detto si capisce in quale misura la morte cruenta di Cristo sulla Croce fosse assolutamente appropriata a ottenere l’espiazione della colpa di tutti i peccati.
Poiché Cristo, per amore e obbedienza verso il Padre, bevve il calice dell’amara sofferenza e accettò una morte lacerante per noi, fece a Dio un’offerta ben più grande e più preziosa di quanto fosse necessario per compensare tutte le offese che l’umanità peccaminosa Gli aveva inflitto e che ancora Gli infligge. Per questo la compiacenza di Dio per il prezioso e infinito sacrificio espiatorio della Croce è maggiore della Sua amarezza e dispiacere per i peccati di tutta l’umanità. Cristo fu obbediente al Padre Suo fino alla morte, fino alla morte di Croce (Fil 2, 8), e questa Sua perfetta ubbidienza compensò la disubbidienza dell’umanità peccatrice.
E come si sarebbe potuto risarcire meglio Dio per l’onore che Gli abbiamo rifiutato a causa dei nostri peccati, se non tramite l’evento della Croce? È perciò infinitamente grande l’adorazione dimostrata a Dio Uno e Trino tramite l’auto-sacrificio cruento del Redentore. Proprio lì irradia nella più splendida luce l’inviolabile maestà e santità di Dio: per riconoscerla e onorarla pienamente, fu sacrificata, distrutta e disciolta l’ineffabile umanità di Cristo. Tramite l’offerta volontaria della Sua preziosa vita sulla Croce, l’Uomo-Dio ha onorato e glorificato infinitamente l’Altissimo e pagato per l’enorme oltraggio e disprezzo con cui gli uomini avevano offeso e tuttora offendono la Maestà di Dio.