- Confusione fra Ecclesia Docens e Discens
Infine osserviamo nei testi conciliari una confusione fra Ecclesia docens (la Chiesa che insegna) ed Ecclesia discens (la Chiesa che apprende). Nostro Signore stesso ha affidato l’esercizio del munus docendi alla Chiesa, come approfondiremo nel capitolo 1. Lo ha fatto sia a beneficio dei Suoi membri che di quelli al di fuori dei suoi confini. In rapporto ai suoi membri, Essa agisce come Ecclesia Docens ed essi in rapporto a Lei come Ecclesia Discens. I membri della Gerarchia esercitano questo ministero, istruendo il clero e i fedeli; il clero lo esercita, istruendo i fedeli. Anche i fedeli sono obbligati dal primo comandamento a conoscere la Fede. Per coloro, che si trovano al di fuori dei confini della Chiesa, la Chiesa esercita questo ministero con l’evangelizzazione.
Se il clero e i fedeli sono ignoranti, perché non sono stati adeguatamente catechizzati in queste ultime due generazioni, allora il loro dovere non è quello di imparare la Verità dai non-cattolici; piuttosto devono ricercare ciò che gli uomini di Chiesa hanno insegnato in precedenza, ai tempi in cui questi ultimi prendevano più seriamente il loro munus docendi[1].
Se un impiegato al banco informazioni di una stazione ferroviaria, alla domanda se ci siano treni che vadano a Roma da quella stazione, rispondesse: “Non lo so. Lei lo sa? Andiamo a scoprirlo insieme“, si direbbe che né le autorità ferroviarie né i loro impiegati stiano facendo bene il proprio lavoro. È compito delle autorità ferroviarie, infatti, comunicare tali informazioni ai propri dipendenti ed è compito dei dipendenti comunicarle ai propri clienti; se le autorità ferroviarie non hanno fornito loro la conoscenza in questione, allora è compito dei loro dipendenti trovarla da sé – ma non dai propri clienti.
L’espressione della Verità
Se la prima forma di opposizione alla dottrina cattolica da parte del concilio (nella sezione 1 di cui sopra) riguarda la Verità ontologica, questa seconda forma riguarda la Verità logica.
I) “La Chiesa … è chiamata da Cristo a questa continua riforma (ad hanc perennem reformationem) di cui … ha sempre bisogno. Se dunque alcune cose … nel mondo di enunziare la dottrina – che bisogna distinguere con cura dal deposito vero e proprio della fede – sono state osservate meno accuratamente … siano opportunamente rimesse nel giusto e debito ordine” (UR 6);
II) “I teologi sono inoltre invitati … a ricercare modi sempre più adatti di comunicare la dottrina cristiana agli uomini della loro epoca: altro è, infatti, il deposito o la verità della fede, altro è il modo in cui vengono espresse, a condizione tuttavia di salvaguardarne il significato e il senso profondo” (GS 62)[2].
La sostanza di questi testi si può riassumere nei seguenti termini:
- Si deve fare una distinzione radicale tra il deposito della Fede e la sua espressione, poiché quest’ultima è tutt’altra cosa (testo II) e deve essere distinta “con cura” (testo I) dalla prima;
- La veridicità della seconda è dubbia;
- Quest’ultima dovrebbe quindi essere oggetto di riforma.
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[1] Ci riferiamo al Lamentabili, dove san Pio X condanna la Proposizione 6, che implica come la dottrina non venga dalla Ecclesia discens ma dalla Ecclesia docens: “La Chiesa che apprende e la Chiesa che insegna collaborano in modo tale che alla Chiesa che insegna non resta che sottoscrivere le opinioni della Chiesa che apprende“.
[2] Il testo si riferisce al discorso d’apertura di papa Giovanni XXIII, dove afferma: “Altro è infatti il deposito della Fede, … altro è il modo con il quale ess[a] [viene] annunziat[a] … Va data grande importanza a questo metodo e, se è necessario, applicato con pazienza”.