- Il rifiuto del lavoro preparatorio
Quanto alla terza vittoria, occorre anzitutto spiegare che i 2-3 anni di lavoro precedenti al concilio erano stati investiti in schemi preparatori contenenti circa 2.000 pagine e composti da 871 studiosi. Il loro contenuto era ortodosso, come si può già vedere nei titoli delle prime quattro “costituzioni dogmatiche”: “Delle Fonti della Rivelazione“[1]; “Conservare puro il deposito della fede“; “L’ordine morale cristiano“; “La castità, il matrimonio, la famiglia e la verginità” – “titoli da soli … sufficienti a mandare ogni liberale che si rispetti a urlare dal suo psichiatra“[2].
Padre Chenu aveva scritto a padre Rahner prima del concilio per esprimere il proprio senso di “afflizione e dolore” per il tenore “prettamente intellettualistico” degli schemi che si limitavano a denunciare “gli errori intra-teologici … senza accennare alle drammatiche domande che gli uomini si pongono, siano essi cristiani o meno, a causa di un mutamento della condizione umana, esteriore e interiore, quale la storia non ha mai registrato… Il Concilio diventa un’operazione di pulizia intellettuale nelle mura della scolastica”[3].
Padre Rahner espose a mons. Volk, vescovo di Magonza, la sua strategia di sostituire gli schemi già preparati con uno nuovo. Il prelato invitò un certo numero di vescovi e teologi tedeschi e francesi presso la casa “Mater Dei” quello stesso 19 ottobre, in cui iniziò l’attività di lobby per determinare come mettere in atto questa strategia. L’incontro fu animato e durò più di tre ore. Il vescovo Volk convocò un’ulteriore riunione negli stessi locali un mese dopo. Quanto di più importante segnò il secondo incontro fu l’introduzione nei nuovi schemi di un diverso stile del linguaggio. Il cardinal Siri lo descrisse come un criterio discorsivo: “… fu escluso il metodo delle proposizioni semplici, stringate per l’affermazione delle verità o per la netta condanna degli errori”. Il professor de Mattei osserva: “la scelta del metodo discorsivo ebbe come principale conseguenza la mancanza di chiarezza, causa a sua volta di quell’ambiguità che fu la nota dominante dei testi conciliari”[4].
Il risultato dei due incontri fu la pubblicazione, su iniziativa della gerarchia olandese, di un commento in tre lingue, opera di un solo uomo, padre Schillebeeckx OP. Il documento fu presentato a tutti i Padri al loro arrivo al concilio. Esso attaccava violentemente i primi quattro schemi e proponeva il quinto, lo schema sulla liturgia, per una immediata discussione. Questo schema, descritto da padre Schillebeeckx “un vero capolavoro”[5], fu il frutto dell’unica commissione a controllo liberale, quella per la riforma liturgica[6]. Due terzi dei Padri, convinti dall’argomentazione rigorosa del domenicano, lo accettarono ignari. Una tale maggioranza non sarebbe stata sufficiente in realtà a respingere gli schemi preparatori; malgrado ciò, l’alleanza europea riuscì a convincere il papa a respingerli[7]. Il cardinal Ottaviani si lamentò del fatto che il primo schema da considerare non fosse dottrinale come previsto, ma liturgico, ma la sua rimostranza rimase inascoltata[8].
[1] De Fontibus – un titolo che esprime il dogma secondo il quale vi sono due fonti della Rivelazione: le Sacre Scritture (o “Tradizione scritta”) e la Tradizione orale. Vedremo poi come il concilio, in un movimento “protestantizzante”, abbia posto l’accento sulle Scritture a scapito della Tradizione orale.
[2] MD pjc, p. 38.
[3] RdM III 7.
[4] Cardinal Siri, ‘Il post-concilium’ p. 178; RdM III 7.
[5] RdM III 8.
[6] Fondata nel 1948 e già responsabile dei cambiamenti in tutti i testi liturgici, in particolare quelli per la Settimana Santa. Il Segretario dal 1948 al 1960 fu mons. Bugnini, che faceva rapporto al cardinal Bea ogni settimana. Vi sono pochi dubbi circa il fatto che il primo fosse un massone; anche il secondo era citato come tale all’interno della “lista di Pecorelli”.
[7] MD pjc, pp. 39-40.
[8] RdM p. 239.