Sermone LVII di San Bernardo di Chiaravalle
Sulla Pasqua
1. «Ecco, ha vinto il leone della tribù di Giuda, il germoglio di Davide, egli dunque aprirà il libro e i suoi sette sigilli». I sette sigilli sono la sua nascita nel tempo, la circoncisione secondo la Legge, la purificazione della Madre, la fuga in Egitto, i bisogni del corpo, il battesimo, la passione. Questi sono davvero come i caratteri distintivi che mostrano la verità della sua umanità, quelli nei quali la Sapienza incarnata di Dio ha voluto essere contenuta e legata. Essa è infatti la terza persona della Trinità; e benché l’incarnazione sia opera comune del Padre, del Figlio e dello Spirito Santo, non si sono incarnati né il Padre, né lo Spirito Santo, ma solo il Figlio. E però il Padre e lo Spirito Santo hanno riempito la carne del Figlio, dal quale né l’uno né l’altro potevano separarsi; ma l’hanno riempita con la loro maestà, non per averla assunta. Perciò il Figlio mostra nella carne la potenza del Padre attraverso le opere e rivela la bontà dello Spirito Santo rimettendo i peccati, mentre quello che gli apparteneva in proprio, anzi ciò che egli era per essenza, cioè la Sapienza, questa l’ha occultata sotto quei sigilli di cui si è detto. Ne è venuta quindi una cosa mirabile e stupenda. La potenza somma è diventata debole e, per così dire, se è lecito dirlo, cosa che comunque dico con rispetto, la sapienza è come diventata insipida. Ma non mi vergogno di dire quello che il Dottore delle genti non si vergognò di insegnare. Questo infatti egli ha creduto, questo ha insegnato e questo ha lasciato scritto: «Noi – dice – predichiamo Cristo crocifisso, scandalo per i Giudei, stoltezza per i pagani; ma per quanti sono stati chiamati, Giudei e Greci, predichiamo Cristo potenza di Dio e sapienza di Dio, perché ciò che è stoltezza di Dio è più sapiente degli uomini e ciò che è debolezza di Dio è più forte degli uomini».
2. Questa potenza doveva tuttavia essere nascosta e andava perfezionata nell’umiltà, perché si compissero tutti gli oracoli dei Profeti. Patì dunque sulla croce un Dio che non poteva patire e nella nostra carne mortale morì e fu sepolto l’immortale Figlio di Dio. Ma ecco, «il terzo giorno risuscitò da morte» e colui che era apparso come agnello nella passione diventò un leone nella risurrezione. Risorse e «vinse il leone della tribù di Giuda», perché quella morte, che aveva subìto per aver condiviso la nostra debolezza, egli la schiacciò nella risurrezione con la sua potenza. «Risorgendo infatti dai morti più non muore, la morte non ha più potere su di lui». Risorgendo e ascendendo al cielo, ha aperto il libro, poiché chiaramente con l’autorità della Sacra Scrittura ha fatto sapere in modo manifesto che era Dio. Perciò è scritto: «Innalzati sopra i cieli, o Dio, e su tutta la terra la tua gloria». Ha sciolto quindi i sette sigilli del medesimo libro quando ha aperto la mente dei fedeli alla comprensione delle parole sacre, rivelando in un modo più chiaro della luce tutto ciò che del suo mistero la Legge e i Profeti avevano predetto sotto il velo dell’allegoria, dimostrando cioè che quanto da lui fatto nella sua esistenza di uomo era ciò che di lui era stato predetto e che in lui e da lui era stato realizzato.