3. Non ogni offerta che viene fatta a Dio è anche un sacrificio: ciò dipende particolarmente dalla forma e dalla maniera dell’offerta. Affinché essa diventi un sacrificio, dev’essere in qualche modo sensibilmente mutata. Una trasformazione dell’offerta è dunque essenziale al concetto di sacrificio: essa rappresenta la forma fisica del medesimo. Ciò che non può essere modificato con un atto liturgico, non può nemmeno essere un vero sacrificio (sacrificium), ma una semplice offerta (oblatio) religiosa, che è essenzialmente diversa dal sacrificio. Perciò incontriamo sempre in tutti i sacrifici della Sacra Scrittura una forma di dissoluzione in conformità alla natura della materia sacrificata. Così la vita degli animali sacrificati veniva distrutta tramite la macellazione e il sangue sparso sull’altare, l’incenso consumato nel fuoco e il vino effuso. Il motivo intrinseco e profondo del perché sia necessaria una tale trasformazione ovvero distruzione dell’offerta risiede nel significato specifico del sacrificio.
4. Il sacrificio, cioè la trasformazione dell’offerta per sacrificarla, deve rappresentare simbolicamente l’assoluto diritto di proprietà e la più alta sovranità di Dio su tutte le cose, come pure che l’uomo dipenda in tutto da Dio, Gli appartenga e Gli sia sottomesso, vale a dire Gli sia debitore, disposto a consacrarGli e a offrirGli la vita. Dio è la Maestà eccelsa e santissima, la fonte originaria di tutte le cose, è la meta ultima a cui tutto dovrà ritornare, affinché «Egli sia tutto in tutti» (I Cor 15,28). Come si può esprimere più adeguatamente da una parte la sublimità e sovranità di Dio su tutto ciò che esiste e che può esistere al di fuori di Lui, dall’altra dimostrare con più chiarezza anche la dipendenza e la servitù dell’uomo, se non attraverso il sacrificio, dove una cosa sensibile viene offerta e consacrata a Dio al posto della vita umana per essere in qualche forma annientata e distrutta? Se il rito esteriore del sacrificio vuole veramente incorporare il significato indicato ed essere gradito a Dio, allora deve anche essere espressione interiore o spirituale del medesimo, deve cioè essere animato e vivificato da una vera disposizione al sacrificio. «Il sacrificio visibile – dice S. Agostino – è un segno sacro del sacrificio invisibile». A suo parere, l’aspetto esteriore della celebrazione è come un simbolo e, allo stesso tempo, il frutto dell’adorazione interiore di Dio. L’essenza della vera adorazione di Dio non consiste in esteriorità vuote e meccaniche, bensì nell’intima disposizione e nel sentimento, che accompagna la funzione esterna e la rende preziosa e devota davanti a Dio. Dio, il Signore di tutte le creature, non ha bisogno dell’esteriorità nelle offerte dei sacrifici: perciò non li gradisce quando all’offerente manchi lo spirito di sacrificio. L’esteriorità deve stare in sintonia con il sentimento interiore così come nella preghiera. Non solamente l’esecuzione esteriore del sacrificio, ma anche l’unione del cuore con esso attira la divina compiacenza e fa scendere le grazie, la protezione e la benedizione di Dio sugli offerenti (vd. Sal 49,7-16).
5, L’offerta del Sacrificio intende essenzialmente glorificare Dio quale Signore e dominatore illimitato di tutte le creature, il che equivale ad adorarLo. Questo significato è inseparabilmente unito al sacrificio che, in primo luogo, è sempre un atto di culto dovuto esclusivamente a Dio: un’adorazione. A questo scopo principale si uniscono quasi naturalmente il ringraziamento e la supplica, quando l’offerta viene fatta per lodare Dio come l’onnipotente e misericordioso donatore di ogni bene; cioè per manifestare la nostra riconoscenza per i benefici ricevuti e per implorare nuove grazie. Per adempiere questo doppio obbligo, il Sacrificio si presta ancora meglio della preghiera, poiché in questo modo noi non solo preghiamo con le parole ma, mediante un atto concreto, vogliamo rendere grazie con una controfferta ossia un’offerta al Creatore e Redentore del mondo, fonte prima di tutti i beni naturali e soprannaturali. Poiché da Dio – Creatore e dispensatore di tutta la luce nella natura e della grazia nel mondo – discende ogni buon talento e ogni dono salutare (Gc 1,17), la Chiesa Lo loda spesso come «il dispensatore di tutti i beni» e «l’elargitore dei doni celesti», come «la sorgente da cui fluisce ogni bene». Queste preghiere, dette mentre si compie il Sacrificio, ci vogliono ricordare anche la verità secondo cui Dio, nell’amore più puro, ci dona solo bene, compreso il bene che già possediamo. «Che cos’hai, che tu non abbia ricevuto? Ma se tu l’hai veramente ricevuto, perché ti vanti come se tu non l’avessi ricevuto?» (I Cor 4,7). Perciò anche noi, tramite l’offerta del Sacrificio, dobbiamo umilmente riconoscere che ogni talento e ogni dono proviene dalla mano di Dio, da Cui dobbiamo tutto attendere. In conseguenza del peccato originale il Sacrificio assume anche il valore di penitenza. Viene offerto, infatti, per rimediare all’offesa alla giustizia di Dio e così essere liberati dal peccato e dai castighi. L’espiazione per i peccati commessi si compie tramite il Sacrificio, che supplisce quanto necessario per glorificare l’offesa Maestà di Dio, per risarcirLo dell’onore offeso e del torto commesso. L’offerta del Sacrificio è perfettamente adeguata a questo scopo. E come potrebbe l’uomo peccatore ammettere in maniera più evidente e commovente di essere meritevole della morte e pronto a subirla, se non – tramite l’imposizione delle mani – scaricando i suoi peccati sull’animale da sacrificare, sacrificarlo, spargere il sangue e quindi offrire la sua vita al posto della propria? Storicamente, in tutti i sacrifici si associa all’adorazione una particolare intenzione espiatoria. La prima necessità e il più grande desiderio dell’umanità decaduta era di placare l’ira di Dio offeso per ottenere la Sua misericordia e il perdono dei propri peccati; perciò è del tutto naturale che il rito del sacrificio, nelle generazioni piene di colpa dei tempi non ancora redenti da Cristo, fosse primariamente caratterizzato dal senso di espiazione. «Può essere che l’uomo, afflitto dai peccati, voglia presentarsi al cospetto del suo Dio – non importa con quale intenzione – per compiere un atto religioso: sia esso l’adorazione, il ringraziamento o la richiesta di una grazia. Egli si sentirà comunque, fondamentalmente, un povero peccatore, indegno di essere ascoltato ed esaudito da Dio. Perciò è naturale che proprio negli atti di culto più intensi, com’è difatti il Sacrificio, egli esprima in primo luogo la coscienza della propria peccaminosità e colpevolezza. E come potrebbe egli altrimenti – da peccatore qual è – avvicinarsi degnamente e sentirsi a suo agio al cospetto della Maestà di Dio santo e giusto, mostrarsi grato nella giusta maniera e implorare sperando di essere esaudito?». Quindi si compie il Sacrificio con uno scopo quadruplo: l’adorazione, il ringraziamento, la supplica e l’espiazione. Questa classificazione non è fatta in senso esclusivo, ma piuttosto in base allo scopo predominante del Sacrificio. Con ciò si vuole semplicemente dire che nel rito dell’offerta e nell’intenzione del celebrante si dà risalto a uno scopo senza che gli altri siano esclusi. Ogni sacrificio ha dunque sempre una quadrupla intenzione: esso intende glorificare la divina Maestà, ringraziare per il bene ricevuto, implorare nuovi doni e, infine, riparare alle colpe ed e vitare i conseguenti castighi.