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Ep. IV – Il sacrificio in senso proprio (prima parte)

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Ep. IV - Il sacrificio in senso proprio (prima parte)
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DON NIKOLAUS GIHR

“Il Santo Sacrificio della Messa – Dal punto di vista dogmatico, liturgico e ascetico”.

Ad uso del clero e dei laici[1]

 

Capitolo 2.

Il Sacrificio in senso proprio[2]

  

  1. L’interiorità della vita religiosa – adorazione, ringraziamento, supplica e penitenza – si manifesta in molteplici forme, ma trova la sua più alta e solenne espressione nel Sacrificio. Questo è un atto liturgico tutto particolare e, come tale, essenzialmente diverso da tutte le altre forme di culto. Perciò bisogna spiegare in primo luogo in che cosa consista l’essenza di un vero sacrificio.

Con la parola “sacrificio” s’intende un certo mutamento o trasformazione di un oggetto tramite l’offerta di esso, per significare in maniera sensibile l’assoluta maestà e dominio di Dio, così come la completa dipendenza e sottomissione dell’uomo.

Tra i pre-requisiti propri del rito si considerano qui principalmente l’offerta e il suo sacrificio, inoltre l’atto esteriore nella sua utilità e nel suo significato.

  1. Il sacrificio significa l’offerta di un oggetto visibile. Prima di tutto è dunque necessaria un’offerta visibile, che venga sacrificata a Dio. Ovviamente l’offerta deve essere appropriata al significato che si vuole dare al sacrificio e perciò va scelta tenendone conto. A questo scopo, il meglio che si possa trovare nel mondo sensibile e che perciò si qualifichi come l’offerta più nobile a Dio è la vita umana. Perciò, per compiere il sacrificio perfetto, Cristo ha offerto la Sua preziosa vita sulla croce secondo la volontà del Padre Suo.

D’altra parte Dio non voleva che Gli venisse sacrificata una vita umana: Egli si accontentava del sacrificio interiore e del suo segno simbolico, cioè l’offerta di una creatura animale, che rappresentasse la vita umana e fosse sacrificata al suo posto. Come si può capire a prima vista, sono specialmente le cose vive, che sono adatte a rappresentare l’offerta dell’uomo oppure le cose che servono al suo sostentamento e che, in questo modo, rappresentano la vita umana. Nelle epoche pre-cristiane, tali sacrifici consistevano, ad esempio, in agnelli, bovini, colombi, pane, vino, olio, sale, incenso.

Poiché con queste offerte si intendeva onorare Dio, va da sé che esse dovevano essere possibilmente senza macchia e senza difetto. Il sacrificio è un atto esteriore e il suo valore dipende perciò soprattutto dalla dignità e intima devozione dell’offerente; ma anche il pregio dell’offerta sacrificata concorre ad aumentare il beneplacito di Dio. Quando nel cuore di chi fa l’offerta sia presente una sincera disposizione al sacrificio, allora si scelgono le offerte più preziose per un atto tanto eccelso e sacro. Al contrario, la scelta di cose basse, piccole e difettose è segno di mancanza di senso del sacrificio, che in sé implica un disprezzo della divina Maestà (si veda Mal 1, 7-8).

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[1] Titolo originale: Das Heilige Messopfer – Dogmatisch, liturgisch und aszetisch erklärt – Klerikern und Laien gewidmet, 17a -19a edizione, ed. Herder, Freiburg im Breisgau 1922 (imprimatur: Friburgi Brisgoviae, il 24 dicembre 1921).

[2] Traduzione dal tedesco del cap. 2 dell’opera citata, pp. 10-16: Das Opfer im eigentlichen Sinne. Per le citazioni bibliche è stata usata la Bibbia di F. Nardoni, Firenze, imprimatur 1960.

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