La “rivoluzione d’ottobre” della Chiesa cattolica
Per promuovere la propria causa, i collegialisti hanno sottolineato il potere consacratorio dei vescovi (conferito loro dall’ordinazione) contro il loro potere giuridico (conferito loro dal papa). Essi consideravano il papa essenzialmente come un vescovo primus inter pares; designavano la dottrina tradizionale come giuridista, dalla quale cercavano di liberare la Chiesa, in favore di una nuova visione apostolica, collegiale e sacramentale e, in ultima analisi, democratica ed egualitaria.
La collegialità si sarebbe cristallizzata in due forme: una forma radicale, secondo la quale il soggetto della suprema e piena potestà della Chiesa era solo il collegio episcopale; e una forma moderata che prevedeva due soggetti della suprema e piena potestà: da una parte il papa, dall’altra il collegio episcopale unito al papa.
Papa Paolo VI sottoscrisse la forma moderata e manifestò un particolare interesse per la questione. Una settimana prima del Concilio (come cardinal Montini), scrisse al cardinale Cicognani di ritenere che la Chiesa dovesse essere l’unico tema del Concilio e che l’intero Episcopato “attendeva di sapere esattamente quali fossero i suoi poteri dopo la definizione dei poteri del Papa e quale rapporto esistesse tra i due poteri“[1]. Poche settimane dopo, nell’aula stessa, parlò in termini analoghi: “Il tema principale del Concilio dovrà essere il de Ecclesia, cioè i Vescovi e le loro funzioni nella Chiesa … Allo stesso modo si dovranno illustrare più chiaramente i rapporti tra il primato del Romano Pontefice e l’Episcopato“[2]. All’apertura della terza sessione è tornato sul tema dei “successori degli Apostoli, cioè l’Episcopato“[3].
Il 30 ottobre 1963, un testo preliminare a favore della collegialità raggiunse la necessaria maggioranza dei due terzi dei Padri conciliari. Padre Küng descrisse l’evento come “la pacifica ‘Rivoluzione d’ottobre’ della Chiesa cattolica“; il cardinale Suenens affermò: “Il 30 ottobre è una data decisiva nella storia della Chiesa. La battaglia dei Dodici è stata vinta“; il giorno seguente, Papa Paolo VI accolse i tre moderatori liberali del concilio, i cardinali Döpfner, Lercaro e Suenens, con le parole: “Dunque abbiamo vinto!“. Circa un anno dopo i Padri votarono un testo definitivo, con la maggioranza che approvò nuovamente la collegialità.
Tuttavia, con grande disappunto dei liberali, che avrebbero chiamato poi la settimana in questione “Settimana nera“[4], il loro trionfo fu guastato da una imprevista svolta degli eventi. Alcuni dei loro teologi avevano inserito certi passaggi ambigui nel capitolo della Lumen Gentium, la Costituzione sulla Chiesa, a favore della collegialità. “Uno dei liberali estremi commise poi l’errore di far riferimento per iscritto ad alcuni di questi passaggi ambigui e di indicare come li si dovesse interpretare dopo il concilio …“. Questo documento cadde nelle mani di prelati del partito “romano”, che lo consegnarono al papa, il quale, “rendendosi infine conto di essere stato ingannato, proruppe in pianto“. La linea d’azione più ovvia, in quanto la più onesta e dottrinalmente la più efficace, sarebbe stata quella di eliminare dal documento il testo deliberatamente ambiguo o “capzioso”. Tuttavia, poiché lo schema non conteneva alcuna affermazione dichiaratamente falsa, ma si limitava a usare termini ambigui, si è pensato che l’ambiguità potesse essere chiarita unendo al testo una spiegazione accuratamente formulata. Di conseguenza, il testo è stato lasciato intatto[5] e una ‘Nota introduttiva preliminare’ (Nota explicativa praevia) è stata aggiunta allo schema[6]. Una simile azione era tipica dello spirito conciliante con cui papa Paolo VI governò il Concilio.
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[1] Cardinal Suenens, ‘Aux Origines du Concile Vatican II’, Nouvelle Revue Théologique 107, 1985, p.19.
[2] Dec.1962, AS 1/4, p. 292-4.
[3] AS III/I, 144.
[4] Anche a causa degli onori tributati alla Madonna (vedi sotto), del rinvio della discussione sulla libertà religiosa e degli emendamenti al testo sull’ecumenismo.
[5] Ricordiamo un analogo tentativo di spiegare l’eterodossia (questa volta nel Novus Ordo Missae), aggiungendo alcune frasi (nell’introduzione del nuovo messale), ma senza cambiare la sostanza del testo (The Destruction of the Roman Rite, I A2, don Pietro Leone, Loreto Publications).
[6] The Rhine Flows into the Tiber, Father Ralph Wiltgen SVD, MD rl p. 142.