“Il Verbo”, dunque, “si è fatto carne”, vale a dire uomo, in quanto esistente, ma non sussistente. Infatti, assunse la natura stessa dell’uomo, ma non la persona dell’uomo. Né la Persona del Verbo è stata fatta persona di un uomo, perché ciò sarebbe impossibile. Il Verbo ha assunto l’essenza e l’esistenza dell’uomo, non la sua sostanza e ciò nel momento stesso in cui è stata formata dallo Spirito Santo, il quale giunse prima affinché per mezzo di sé non sussistesse in quanto persona: ha congiunto a Sé [la natura umana] medesima nell’unità della Sua Persona divina e ha fatto sì che sussistesse in essa. Perciò l’umanità di Cristo non sussiste in sé, ma nella Persona del Verbo.
“Si è fatto”: non che il Verbo sia stato cambiato in carne o la carne nel Verbo, perché, come dice san Crisostomo, “lungi da quella natura immortale è la trasmutazione”. Infatti, come potrebbe la carne diventare Dio, cioè come potrebbe la creatura diventare il Creatore? Né significa che il Verbo si sia fatto carne, cioè sia diventato uomo, in modo tale da assumere non solo la natura umana, ma anche una persona umana, come voleva Nestorio. “Non è che – dice Teofilatto – il Verbo abbia trovato un uomo dotato di virtù e lo abbia unito a sé“, come lo Spirito Santo si è unito ai profeti o l’angelo Raffaele a Tobia. Piuttosto, Egli ha unito la natura dell’uomo alla Propria Ipostasi e ha fatto sì che l’uomo Gesù sussistesse nella stessa Ipostasi di Dio Verbo, Dio Figlio. Inoltre, il Verbo si è fatto carne, non per immaginazione, né per apparenza, né per fantasia, come sostenevano i manichei, ma nella verità e nella realtà dei fatti. Il Verbo si è fatto uomo, dico, non da Sé, ma da tutta la Trinità. Infatti, tutta la Santa Trinità è stata la causa efficiente dell’Incarnazione del Verbo, ma in modo tale che l’Unione Ipostatica fosse con la sola Persona del Verbo, non con quella del Padre o dello Spirito Santo: e il Figlio solo si è fatto uomo. “Perché la Trinità stessa ha fatto sì che solo il Verbo fosse carne“, dice san Fulgenzio (Sulla Fede: a Pietro).
Dunque il Verbo rivestito di carne era come il sole rivestito di una nuvola o come il fuoco che brucia il ferro o come un carbone ardente, come dice san Cirillo. Per questo motivo Sua immagine e Suo simbolo è il rubino, come ho detto in riferimento ad Apocalisse 21, 21. Inoltre, era come una perla in una conchiglia o un fulmine in una nuvola o l’oro in una fornace o un angelo in un corpo. Inoltre sant’Agostino dice (lib. 15 La Trinità c. 11): “Come la nostra parola diventa voce, ma non si trasforma in voce, così il Verbo di Dio, fatto carne, non si è trasformato in carne“.
Ho detto di più in merito al tema dell’Incarnazione nel primo capitolo dell’Epistola di san Giovanni. Tra l’altro, ho mostrato come ciò fosse in vista di tale fine e oggetto: il fatto che il Verbo, il quale dapprima, come Dio, era nostro Padre, potesse diventare, per così dire, nostra Madre, attraverso l’umanità che assunse. E ho aggiunto da Damasceno che Dio assunse la natura umana per unire a Sé il mondo intero e renderlo, per così dire, simile a Dio.
“Ed abitò tra noi“, in greco ἐσκήνωσεν, vale a dire: ha piantato la tenda fra di noi per un po’ di tempo, come ospite e straniero in terra straniera. Egli era infatti cittadino, abitante e Signore del cielo e del paradiso. Come è detto in Geremia (14, 8): “Perché saresti in questa terra come un avventizio, come un viandante che si ferma ad albergare?“. Cristo ha quindi voluto insegnarci con il Suo esempio che questo mondo è, per così dire, una foresteria, ma che il cielo è la nostra patria, che dobbiamo sforzarci di raggiungere disprezzando le cose terrene.
I santi Crisostomo e Cirillo intendono in modo leggermente diverso. “Tra noi“, cioè in noi, nella nostra natura, vale a dire nell’umanità che Egli ha assunto per redimerci. San Crisostomo ne dà la ragione. “Il Verbo costruì per Sé un tempio santo e per mezzo di esso ha indicato dal cielo come occorra che si conduca la nostra vita“.